martedì 18 marzo 2008

Daniele Sepe in Tour.


Dopo l'uscita dell'album Kronomakia Daniele Sepe e Rote Jazz Fraktion con Ensemble Micrologus ecco le date del tour 2008.


Kronomakia è il nuovo lavoro del compositore napoletano. Ad affiancarlo, oltre ai Rote Jazz Fraktion, la formazione “allargata” di musicisti che da anni suonano con lui, anche il formidabile Ensemble Micrologus, protagonisti assoluti del rilancio dell’interpretazione della musica medievale. Ascoltare i dischi di Daniele Sepe è come entrare in una bottega di oggetti provenienti da ogni angolo del mondo e da ogni epoca. Si trova di tutto; musica araba e radici tradizionali, jazz, rarefazioni nordeuropee e musica antica. Kronomakia, come significa la parola, è una guerra contro il tempo, svolta con le armi della musica e della ricerca etnomusicologica. Per gettare nuova luce sull’origine di quella che e divenuta nell’occidente la “musica colta”, attraverso il riaffermarsi delle commistioni culturali che – come dice lo stesso Sepe - “ lo scambio di culture e civiltà diverse sia servito non poco a costruire quell’ organico strumentale che si chiamerà “orchestra” che è il simbolo della musica “colta” occidentale. Insomma Wagner non sarebbe esistito senza l’apporto di illustri anonimi musicisti di ascendenza mediorientale. Il mischiarsi delle razze e delle culture porta sempre l’umanità un passo in avanti”. Daniele Sepe è impegnato nel tour 2008 che lo vedrà protagonista il prossimo 28 marzo a Roma presso "Stazione Birra", il 6 aprile invece farà tappa a Pozzuoli al Madras ex Havana. Il 12 aprile invece a Cervia (RA) , Radio 3 Infestival con il
Concerto in diretta radiofonica su Radio 3, dalle 21 alle 23 Daniele Sepe & Rote jazz Fraktion più Ensemble Micrologus .Il 24 maggio invece sarà a Milano alla Cascina Monluè/Roda da Vida.

DANIELE SEPE - NOTE DI COPERTINA SU “KRONOMAKIA”

“Avevo quattordici anni quando mi capitò di assistere ad un concerto del Clemencic Consort. Proponevano i Carmina Burana in versione originale. Da allora la passione per la musica antica non mi ha più abbandonato, prova ne sia i quattro brani presenti nel già vetusto “Vite Perdite”. Qualche settimana dopo l’incontro con la musica antica e con quel gran musicista e divulgatore che è Rene Clemencic entravo a far parte del Gruppo Operaio ‘E Zezi e la parentela stretta che c’era tra le Saltarelle medievali e le Tarantelle che suonavo col gruppo era evidente. Come ritrovarsi in trattoria un dinosauro seduto accanto. E gli strumenti erano molto più simili di quanto lo potesse essere un flauto moderno in metallo a un flageolet medievale. I nostri “siscarielli” venivano fuori diritti diritti dalla notte dei tempi. E quindi, senza stare a farvela lunga, dopo aver tanto seguito questa musica ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino questi bei tipi dei “Micrologus”. E tra parentesi scopriamo di avere in comune anche una militanza “pienamente” sinistrorsa. E allora via con questo progetto: “Kronomakia” - la battaglia del tempo, titolo suggerito da Stefano Valanzuolo per un mitico concerto nel chiostro di San Francesco a Sorrento. Negli anni questo concerto ci ha fatto incontrare un altro fantastico gruppo specializzato nel repertorio medievale: Theatrum Instrumentorum di Sasha Karlic, il famigerato musicista serbo che vive a Bologna con cui più che musica abbiamo diviso spesso fiumi di alcool, e a cui devo il mio fortunato incontro con la slivovitza.
E adesso qualche cenno su alcuni degli strumenti utilizzati in questo cd.

Ud, ‘Uth o Oud Letteralmente “legno” in arabo. Da questo strumento si parte per arrivare dopo secoli alla chitarra elettrica di Giacoia. L’ Ud fu introdotto in Europa dal mondo arabo attraverso la dominazione araba in Spagna e in Sicilia, ma anche dai crociati che tornavano dalla terra santa e che spesso acquisivano usi e costumi del luogo. Da questo strumento di origine mesopotamica l’Europa trarrà ispirazione per il liuto (la derivazione del nome è più che evidente) la mandola e in qualche modo per la chitarra. Si suona con un plettro e la tastiera del manico è cieca, ovvero senza tasti.


Viella, Vielle o viola Strumento sempre di origina est asiatica o araba. E’ la progenitrice del violino. In origine aveva la cassa di forma ovale, poi assunse la tipica forma ad 8 per favorire il movimento dell’archetto. Era lo strumento principe della musica da ballo, nonchË quello più usato dal mondo femminile. Il numero di corde era variabile cosÏ come l’accordatura.

Ribeca o Rebec Direttamente derivata dal Rebab arabo (sottolineo che nella musica araba tutti questi strumenti sono ancora in uso) si suona sempre con l’archetto, ma al contrario della viella che si usa poggiandola contro la spalla la ribeca si suona poggiandola sulle ginocchia.
Mandora o Grittern o Chitarra saracena E’ il più diretto antenato della chitarra. Simile all’Ud, ma con fondo piatto e corde in metallo. Veniva usato quasi sempre in coppia con l’Ud.
Sallterio o cannone Derivato dal Q‡nun arabo è uno strumento di forma trapezoidale con una numerosa serie di corde che si percuotono con delle bacchette o con dei plettri attaccati ai pollici.
Arpa Ecco uno strumento che invece con molta probabilità trova le sue origini nelle fredde terre celtiche. Chiamata anche Cythera barbarica è un altro strumento spesso suonato da donne.
Cornamusa o zampogna Altro strumento importato dall’oriente. Di origine antichissima e in particolare usato per la musica da ballo, visto l’aiuto che l’otre da al musicista per suonare molto tempo senza stancarsi eccessivamente. Diffusissima in Spagna, Grecia, Francia, Germania, Irlanda e sud Italia.
Buccina, Chiarina o Clarino Bisogna partire da questo strumento per arrivare alla tromba di Miles. Costruito in metallo è un lunghissimo tubo conico che veniva suonato almeno in coppia. Nella corporazione dei suonatori di Clarina era prevista addirittura la fustigazione per i suonatori che non la suonavano a dovere.
Già nel mondo romano l’uso militare e istituzionale di uno strumento molto simile chiamato tuba è severamente regolato.
Cennamella, Bombarda e Cialamello Strumento di origina asiatica a doppia ancia. Il famosissimo Aulos greco e la tibia romana sono i parenti illustri di questi strumenti diffusissimi ancora oggi e spessissimo usati in coppia con una cornamusa.
Vale la pena ricordare che tutti gli strumenti erano banditi dalla chiesa per l’esecuzione di brani della liturgia cattolica, ad eccezione di uno strumento che comparirà in epoca piu tarda, l’ organo portativo, ed erano esclusivo appannaggio della musica laica e di festa.
E vale la pena riflettere sul fatto che lo scambio di culture e civiltà diverse sia servito non poco a costruire quell’ organico strumentale che si chiamerà “orchestra” che è il simbolo della musica “colta” occidentale. Insomma Wagner non sarebbe esistito senza l’apporto di illustri anonimi musicisti di ascendenza mediorientale. Il mischiarsi delle razze e delle culture porta sempre l’umanità un passo in avanti.”

Daniele Sepe




“Che la Storia si possa definire una guerra illustre contro il tempo, una sorta di “Kronomakia” insomma, lo diceva già qualcuno nell’Ottocento e con maggiore autorevolezza di noi. La Storia tutta, compresa quella della musica, così legata nel suo evolversi a meccanismi di azione e reazione più o meno occulti; così lineare all’apparenza e, invece, fitta di intrecci imperscrutabili a proposito dei quali, oggi, si parlerebbe di fusion con assoluta nonchalance.
In certe epoche, poi, il concorso/scontro di istanze culturali diverse o di segno opposto ha assunto un andamento frenetico, rendendo impossibile racchiudere la creazione, musicale o letteraria che fosse, entro margini inviolabili. La nostra, ad esempio, è una di queste epoche. Ma, andando a ritroso nel tempo, si scoprono nel Medioevo, specie in quel periodo compreso tra il fatidico anno Mille ed il secolo XIV, i segni di una vivacità ancora più ribollente e composita. La contaminazione, di cui troppo si discute oggi in musica e non solo, ha dunque radici antiche.
A spianare la strada all’incontro (solo in apparenza bizzarro) tra l’ensemble Micrologus e Daniele Sepe Ë la scelta di un repertorio nel quale convivono per natura il tratto colto e quello popolare, l’approfondimento vocale e strumentale, l’accento religioso e profano, nel rispetto di una tendenza storica della musica occidentale medievale capace di trasformare la tradizione in innovazione, non disdegnando di assimilare istanze “altre”, come quelle del mondo arabo.
Per gettare uno sguardo accorto sulla produzione musicale dei primi secoli del secondo millennio, però, occorre fare un passo indietro e prendere in considerazione il ruolo propulsore ricoperto dalla Chiesa, gia dal V secolo, attraverso la codificazione e la diffusione del canto gregoriano. Sottratto ad una funzione voluttuaria (cara a greci e romani) e destinato ad un uso spirituale, ma non per questo meno efficace sul versante sociale, il salmo gregoriano fissava il ruolo predominante della musica vocale su quella strumentale e dell’elemento melodico su quello ritmico. Col tempo, con la lingua latina inquinata dagli influssi volgari emergenti, il canto gregoriano, strettamente modulato sulla parola, avrebbe inevitabilmente assunto altre sembianze (Inni e Sequenze), accedendo ad un’espressività meno rigida, aprendo di fatto la strada alla canzone profana.
Quest’ultima si pone come evoluzione ed insieme reazione nei confronti degli stilemi espressivi “ufficiali”: di tale natura sovversiva è testimonianza l’accanimento col quale la nuova produzione fu a lungo osteggiata dal clero. La musica, dunque, esce dalle chiese e si affida a girovaghi, saltimbanchi che, nel corso degli anni e nei diversi paesi, prenderanno nomi diversi: i jongleurs, faranno spazio ai troubadors (in Provenza), ai trouvères (nel nord della Francia), ai Minnesanger (in Germania), ed ai menestrelli, cosÏ detti per il fatto di “ministrare”, appunto, un ufficio musicale. » in ambito trobadorico che la danza assurge al rango di fenomeno sociale, trovando sviluppi a corte (danza alta) o in contesti assai meno formali, come nel caso del Saltarello o della Manfredina, balli ripresi qui con esempi di fine Trecento ricavati da un manoscritto custodito a Londra.

Tra le molte nuove figure impegnate a diffondere il verbo musicale, un posto di rilievo spetta ai clerici vagantes ed ai goliardi (studenti girovaghi costretti a spostarsi per le varie città d’Europa per seguire le lezioni), beffardamente distanti dall’ufficialità liturgica e cortigiana, avvezzi ad un linguaggio che del latino si serve in termini parodistici, contaminandolo con espressioni della nascente lingua volgare. I Carmina Burana - ritrovati nel 1803 presso il convento benedettino di Beuren e resi celebri, nel ventesimo secolo, soprattutto da Carl Orff in una versione spuria sinfonica - sono appunto opera di questi studenti impertinenti e colti: si tratta di canzoni profane scritte intorno al 1230, in cui si celebra la natura (“Tempus transit gelidum”) o le gioie del cibo e dell’amore, fino ad attaccare il potere (“Vite perdite”) rivelandone la corruzione con ammirevole coscienza critica.
Non si pensi, comunque, che l’elemento sacro scompaia del tutto dalla produzione musicale fiorita intorno al Due e Trecento. In Italia, ad esempio, accanto all’affermarsi della poesia trobadorica, si assiste al nascere della Lauda, connessa al boom del francescanesimo e di altri fenomeni religiosi. Analogamente, in Spagna prende piede la Cantiga, evoluzione coerente, in senso storico-culturale, dell’inno gregoriano. Sul piano formale, la Cantiga (cosÏ come la Lauda) presenta innovazioni non trascurabili, poggiando su un riferimento tonale finalmente concluso dal quale il canto popolare - specie quello di derivazione araba, molto influente in Spagna - aveva insegnato a non prescindere. Le Cantigas de Santa Maria rappresentano la più importante raccolta di canti religiosi di ispirazione popolare del tempo; fu il Re Alfonso X di Castiglia a riunire i contributi di vari poeti musicisti in un’unica opera, giunta a noi in un prezioso codice di fine Duecento che rappresenta, tra l’altro, una straordinaria fonte iconografica per lo studio degli strumenti dell’epoca. A conferma del legame forte tra la produzione spagnola e quella di derivazione araba-andalusa c’è il fatto che poemi mozarabici di vari autori, come Al Quazzal Malaqui, venissero modulati di frequente su melodie già esistenti, spesso ricorrendo proprio alle Cantigas”

Stefano Valanzuolo
CREDITI DEL CD:

Registrato da Piero De Asmundis e da Adolfo Broegg nel febbraio del 2006
mixato da Piero De Asmundis e Daniele Sepe nell’ottobre del 2007 a “Hypnocampos studio” - Napoli

Masterizzato da Bob Fix
Arrangiato e prodotto da Ensemble Micrologus e Daniele Sepe

Le traduzioni di “Stayin’ alive” e “Norwegian Wood” sono di Salvatore Lo Leggio

Le foto degli strumenti medioevali sono di Roberto Vaccai

Fotomontaggi di Mario Zenga su immagini Fotolia:
“i 3 santi”: © Bartlomiej Kwieciszewski / fotolia
“l’angelo del Melozzo”: © Eishier / fotolia
“vetrata”: © Dmitry Zhukov / fotolia

Grafica: Studiozeta Napoli - www.studiozetaweb.com


www.micrologus.it - www.danielesepe.com - www.myspace.com/danielesepe

Ensemble Micrologus
Patrizia Bovi -Canto, arpa gotica, castagnette, buccina
Simone Sorini -Canto, chitarra latina, liuto
Adolfo Broegg - Oud, buccina
Goffredo Degli Esposti - Flauto traverso, flauto doppio, kaval, cialamello, zufolo e tamburo, cornamusa, ciaramella
Gabriele Russo - Viella, lira calabrese, cornamusa, buccina
Gabriele Miracle - Salterio a percussione, tamburello, tammorra, darbukka, bendir, riqq, castagnette

ROTE JAZZ FRAKTION
Auli Kokko - Voce, percussioni
Umberto Iuorio - Voce recitante
Daniele Sepe - Sax tenore, sax soprano curvo e diritto, clarinetto turco in sol, chalumeaux, gralla,flageolet
Gianfranco Campagnoli - Tromba
Roberto Schiano - Trombone
Franco Giacoia - Chitarra elettrica, chitarra fretless
Piero De Asmundis - Piano acustico, piano Rhodes, Prophet, Honher clavinet
Lello Petrarca - Basso elettrico, Rhodes, Microkorg
Massimo Cecchetti - Basso elettrico
Roberto D’Aquino - Basso elettrico
Aldo Vigorito - Contrabasso
Roberto Lagoa - Congas, bongos, tamburello, shaker, cabasa
Marzuk Meijri - Darbuka, daf, ney
Claudio Marino - Batteria
Lello De Fenza - Batteria

Daniele Sepe- Biografia

Daniele Sepe è la napoletanità che si fonde con il jazz, il funk, il folk balcanico e il rock, una contaminazione continua dove la vivacità e la forza dei suoni si accompagna ad una sentita critica sociale che non disdegna anche il gioco dell’ironia.
La carriera artistica del poliedrico artista napoletano parte nella seconda metà degli anni ’70 con il gruppo operaio di Pomigliano D’Arco E Zezi insieme al quale incide e suona per alcuni anni. Nel frattempo gli studi sul flauto si concludono con un diploma al conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli; ma il vero amore è il sassofono. La sua corrosiva forza entra in contatto con gruppi della new wave partenopea come Little Italy, Bisca e Degrado collaborando in alcuni concerti.
La passione e le capacità tecniche sono tante, i guadagni pochi e dunque Sepe si dedica dapprima alla musica barocca e poi al ruolo di turnista a fianco di musicisti quali Nino D’Angelo, Gino Paoli, Eduardo De Crescenzo e Nino Buoncore. In questo periodo s’inverte la rotta: poco entusiasmo e maggiori entrate economiche. Questi sacrifici però non sono vani perchÈ il sassofonista riesce ad autoprodursi il primo album “Malamusica” che ottiene un buon riscontro dalla critica, cosÏ come i seguenti “L’uscita dei gladiatori” e “Play standards and more”.
E’ grazie a Ninni De Pascale della Polo Sud records che Daniele Sepe ottiene il suo primo contratto discografico sancito dal disco “Vite Perdite”. Forse inaspettato quanto meritato, il lavoro riceve un unanime consenso di critica e pubblico tanto che alcuni registi cinematografici (Martone, “L’amore molesto”, Ferrario, “Figli d’Annibale”, Battiato, “Cronache di un amore violato” e numerosi altri) lo scelgono per musicare le proprie pellicole. Dopo queste impegnative quanto prestigiose fatiche, che gli permettono anche di far conoscere maggiormente il proprio nome, Sepe incide dapprima “Spiritus Mundi” e poi il suo primo album per Il Manifesto “Trasmigrazioni”. La stima di questa nuova etichetta nei suoi confronti Ë suggellata dalla stampa dell’antologico “Viaggi fuori dai paraggi”. I primi premi arrivano con “Lavorare stanca”, libro-cd che riceve tra l’altro il premio Tenco come miglior album in dialetto e la nomination al Premio Italiano della Musica (PIM). In coda agli anni ’90 Ë invitato in prestigiosi festival europei come il Womad Bruxelles, “Les Allumees” di Nantes, “Beethoven Kunstnhalle” di Berlino. Non Ë quindi un caso che grazie a “Conosci Victor Jara” entra nelle classifiche indies italiane. Nel 2000 pubblica “Truffe & Other Sturiellett” a cui segue la messa in scena al Teatro Argentina dei “Dieci comandamenti” di Raffaele Viviani, realizzato insieme a Mario Martone.
Le 20.000 copie vendute del successivo “Jurnateri” rappresentano una gran bella soddisfazione per Sepe, che ritorna di nuovo a collaborare con il cinema nei film di Gabriele Salvatores “AmnÈsia” e “Casa di frontiera” di Massimo Costa.
Nel 2002 pubblica "Anime Candide” (canzoni d' amore e di guerra) per il manifesto cd, che vende oltre 20.000 copie (e continua a vendere). Sempre con il manifesto pubblica sul finire del 2004, “Nia Maro”, disco che registra il medesimo successo del precedente.
Due anni dopo, nel 2006, Sepe affronta a proprio modo gli anni settanta, politicamente e musicalmente, con “Suonarne uno per educarne cento”, una sorta di summa di tutto ciÚ ha influenzato il Sepe musicista e militante. Dissacrante come nessun altro lavoro del musicista, ottiene grandi recensioni dalla stampa e ottime soddisfazioni di vendita.
Nel 2003 partecipa come unico musicista italiano ospitato allo "Strictly World Music Festival" edizione 2003 a Marsiglia, cosÏ come Ë stato l’unico a rappresentare il nostro paese nell’estate 2004 Sziget festival di Budapest.



Lucia Vagliviello

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